Il senso comune di “depressione” è tristezza, malinconia. La depressione intesa come malattia è invece un insieme di manifestazioni di inibizione e rallentamento dei comportamenti, delle reazioni emotive di orientamento e svolgimento dei pensieri che comprendono un umore “negativo”.
Il depresso non è necessariamente triste, talora è apatico, spento, altre volte, irritabile, intrattabile, altre ancora angosciato, preoccupato, timoroso o semplicemente svogliato, stanco.
Si dice spesso che uno “cade” in depressione, come se ci fosse un qualcosa che ce lo porta, cioè come se ci fosse una causa a monte che provoca la depressione. Spesso, mano a mano che si ripetono episodi stressanti come i: lutti, difficoltà economiche, responsabilità crescenti sul lavoro o in famiglia, fine di relazioni amorose, malattie di persone care, momenti di vita particolarmente stressanti e intensi ecc… possono portare a depressione.
Si distinguono abitualmente due sottotipi principali, “tipico” e “atipico”, o meglio “rallentato” e “letargico”. Nel primo caso vi è rallentamento di alcune funzioni: linguaggio, movimento, mimica, velocità di ragionamento, e scarsa capacità di reazione agli stimoli esterni, quindi un “appiattimento” depressivo, mimico ed emotivo. Il sonno è scarso, spezzettato, c’è calo degli istinti, dimagrimento, e una sorta di isolamento, la persona cioè tende a “naufragare” con la sua depressione ritenendo che non vi sia soluzione, e quindi non si cura, sente del tutto inutile chiedere aiuto.
Nel secondo caso è più una “reazione depressiva”, nel senso che la persona rimane reattiva agli stimoli esterni, che può in alcuni momenti far cambiare l’umore e ricerca il piacere, anche se in maniera più passiva e pigra. Il sonno spesso è aumentato, o comunque si dorme per non pensare, l’appetito c’è o è aumentato. La persona si aspetta una soluzione dall’esterno anche se evita finché può gli impegni pur essendo in grado di svolgere le normali attività se praticamente costretta.
La forma atipica, a parte il nome, è quindi quella più “normale” rispetto al modello normale di reazione di tristezza, lutto, delusione etc. L’altra forma è invece già nelle forme lievi più abnorme, ed infatti quando si aggrava può essere accompagnata da incapacità di giudizio: le idee della persona divengono espressione di uno stato di depressione al di là della realtà, o del buon senso. Nelle forme più gravi compaiono deliri di dannazione, di inesistenza (essere già morto, non avere più parti del corpo, non riuscire più a respirare o muoversi). Queste forme sono ad alto rischio e meritano un trattamento urgente.
La distimia è un’altra forma di depressione, non è la più grave a livello di sintomatologia ma è la più rischiosa. Chi è affetto da questa forma si abitua a vivere da depresso, anche se riesce a portare avanti una parte della propria vita a fatica in parte perché attribuiscono la loro condizione a fattori esterni. Per queste persone la distimia diventa uno stile di vita, non piacevole ma inevitabile, un destino.
Quando si manifesta un episodio depressivo, non è detto ch la depressione sia effettivamente iniziata con l’esordio dei sintomi depressivi. Nel disturbo bipolare, ad esempio, spesso nei periodi precedenti la depressione o tra un episodio e l’altro ci sono fasi di euforia o di eccitamento attenuate che non sono riferite come problema, poiché corrispondono ad un umore vivace e tonico, ma sono invece un elemento importante nel distinguere una Depressione da un Disturbo Bipolare. In altri casi il periodo di depressione è preceduto da lunghi periodi in cui i sintomi dominanti, o unici, sono di tipo corporeo: intestinale per esempio, o sindrome del colon irritabile, oppure vegetativo: insonnia, l’antecedente forse più frequente della depressione.
Al momento della diagnosi, quindi, il termine “depressione” non è sufficiente a capire il tipo di malattia. E’ importante distinguere di che tipo di depressione si soffre, per attivare una diversa diagnosi e quindi un diverso piano di cura.
Nella depressione è di fondamentale importanza risalire alla storia della persona in modalità relazionale sistemica intrecciata alle convinzioni negative che hanno formato l’immagine di sé, utilizzando il metodo EMDR.